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perduta la facoltà di parlare; e quella di ragionare sembrava al suo termine. Egli era un ente muto, quasi privo di senso; se si eccettuino alcuni impeti che lo traevano come un fanciullo alle lagrime, pronte a sopravvenire senza che ne apparisse alcun ragionevole motivo. Se io lasciava per poco la stanza, non partiva più gli occhi dall’uscio finchè non fossi ritornato, e al vedermi entrare era un nuovo dirotto di pianti.
Parlargli de’ miei affari, in quello stato mal ridotto della sua mente, sarebbemi sembrata una cosa più disumana ancora che inutile: perchè il dividermi da lui, fosse pure stato per breve tempo, mi si mostrava come un atto crudele e fuor di natura. Qui allora dovetti fare nuova violenza al mio cuore. Scrissi a Bianca narrandole il mio ritorno e l’attuale mia situazione, e le dipinsi con tinte vivaci, perchè tolte dal vero, i tormenti che io sopportava per questa acerba separazione de’ nostri esseri, giacchè al giovine amante ogni giorno di lontananza dall’oggetto amato è un secolo di beatitudini amorose perduto. Inchiusi la mia lettera entro una a Filippo, canale, come dissi, della nostra corrispondenza. Ricevei da questo una risposta tutta spirante amicizia e cordialità; altra da Bianca, che mi facea certo del suo amore, della sua costanza. Settimane a settimane, mesi a mesi si succedettero senza che verun cambiamento accadesse nelle mie circostanze. La fiamma vitale, che parca vicina ad estinguersi quando rividi la prima volta mio padre, andava sbattendosi tuttavia senza apparenza sensibile di scemamento. Io gli prestava la mia servitù incessantemente, con sincerità di cuore, e, ho quasi detto, con pazienza. Certo io sapea che la sua morte sola potea farmi libero; ma non mi è mai venuta nemmeno l’idea di desiderare la mia libertà ad un tal costo: troppo mi era cara questa occasione di espiare un’antica disobbedienza; e poichè io avea sfortunatamente nella mia gioventù poste in non cale le vie di meritarmi il paterno amore, il mio cuore adulto dedicava tutte le atte cure ad un padre,