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morte non mi diede un’afflizione più che ordinaria. L’idea bensì di un padre infermo e oppresso dai patimenti mi toccò al vivo: onde in pensando che quell’ente, un dì sì fastoso ed altero, or vivea nella prostrazione e nell’affanno, e mi sospirava per suo conforto, il poco conto ch’egli fece di me in addietro fu dimenticato, ogni risentimento fu vinto, una fiamma di filiale affetto si risvegliò nel mio seno.
Pure il sentimento che predominava tutti gli altri, fu l’eccesso della gioia da me concepita per quel subitaneo e generale cambiamento di mia fortuna. Io tornava ad appartenere ad una famiglia; un chiaro nome, un grado in società, le ricchezze mi aspettavano; fin l’amore mi presentava in lontananza una prospettiva più incantatrice. Mi affrettai verso Bianca, e caddi ai suoi piedi. «Bianca! esclamai, posso or finalmente chiamarvi mia. Io non sono or più un avventuriere privo di nome, un fuoruscito spregiato e ributtato dalla società. Guardate... leggete... considerate qui le notizie che mi restituiscono il mio nome di famiglia, e me a me medesimo».
Non mi dilungherò su la scena che venne dopo. Di questo cambiamento del mio stato si allegrò Bianca come di cosa che sgravava dagli affanni il mio cuore: perchè quanto a lei, mi aveva amato per me medesimo, nè avea mai concepito il menomo dubbio che i miei meriti personali non avessero un giorno fatte mie tributarie la fama e la fortuna.
Io sentii allora tutto il mio ingenito orgoglio galleggiare entro il mio seno. Non più lungamente io tenni gli occhi bassi sopra la polve; la speranza li sollevava al firmamento; la mia anima, fatta ardente di nuova fiamma, mi scintillava sul volto.
Il mio primo desiderio era partecipare al Conte il mutato stato di mia condizione, fargli noto chi e qual mi fossi; chiedergli formalmente la mano di Bianca; ma andato questi ad alcuni suoi poderi distanti di lì, era assente in quel punto. Apersi tutto il mio animo a Filippo. Per la prima