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su quelle sovrumane sembianze e bevea un delizioso veleno che mi traeva fuor di me stesso. La tenerezza dilatava il mio cuore, lo ristrignea il dolore della disperazione. Allora io mi sentiva più che mai acceso dalla violenza di quell’incendio che nel profondo della mia anima fino a quel punto avea vegetato. Voi che nati in clima più temperato, respirate l’aere di una refrigerante atmosfera, voi non potete formarvi un concetto della tirannica violenza che scoprano le passioni su i nostri cuori temprati ai climi meridionali!

In pochi giorni il mio lavoro fu terminato. Bianca ritornò al convento; ma l’immagine di lei rimase incancellabilmente scalpita sopra il mio cuore: questa pose stanza nella mia immaginazione; questa la sola idea classica ch’io sapessi formarmi della beltà; questa divenne di fatto la prevalente norma del mio pennello. Per mia fortuna io crebbi in fama di abile nel delineare ogni vezzo di femminile avvenenza, d’onde derivò che i ritratti di Bianca sotto il mio pennello moltiplicarono. Io compiaceva e nudriva la mia fantasia coll’introdurre Bianca in tutti i lavori del mio maestro. Qual fu, un giorno la delizia ch’io provai intertenendomi in una delle cappelle dell’Annunziata, e udendo in mezzo alla folla come tutti esaltavano le bellezze serafiche di una Santa ch’io aveva dipinta! Io li vedea prostrati in adorazione innanzi a quel quadro: essi adoravano le grazie di Bianca.

Vissi in questa specie di sogno, dovrei dire delirio, oltre ad un anno. Tale è la tenacità della mia immaginazione, che compresa da un’idea una volta, questa continua a rimanervi in tutta la sua freschezza e con tolto il suo predominio. Io divenni di fatto un meditabondo solitario, tratto a continui vaneggiamenti, onde sempre più mi era agevole il dar pascolo alle idee che si erano la prima volta impadronite fortemente di me. Da questo tenero, malinconico, pur delizioso sogno destatami la morte del mio degno benefattore: morte che in quali cordogli ed affanni m’immer-