presenza era necessaria a ritrarla. La vidi per la prima volta
in una stanza di uno de’ più sontuosi palagi di Genova,
stando ad una finestra che dominava la baia. Un fascio di
raggi di sole di primavera che spargeano grato splendore
su i damaschi cremisini di quella camera componevano attorno
al capo della donzella una corona di luce non dissimile
da quelle di cui vediamo fregiate nelle pittore le teste dei
Santi. Ella avea sedici anni, e oh quanto bella! Rimasi sopraffatto
a tal vista, come nè più nè meno se mi fosse apparsa
la dea della primavera, della giovinezza e della beltà.
Poco manco non le cadessi ai piedi per adorarla. Ella avrebbe
potuto servir di modello ai poeti o ai pittori quando occorre
loro esprimere quel bello ideale che agita le loro fantasie
sotto forme d'ineffabile perfezione. Mi fu permesso abbozzarne
in diversi atteggiamenti il sembiante; e tanto fervorosamente
mi adoperai a tener lunghi i miei esperimenti, che
fui sul punto di perdermi. Più fisava io sovr’essa lo sguardo,
più amante ne diveniva; e vi era un non so che di penoso
nella immensa ammirazione ch’io le tributava. Io avea diciannove
anni all’incirca, contegnoso, timido, vero novizio.
Certamente la madre della donzella mi si dimostrava cortese,
perchè mi aveano conciliato favore appo lei e la mia
giovinezza e l’entusiasmo ch’io dava a divedere per l’arte
da me professata; e io stesso propendo a credere vi fosse
ne’ miei modi e nella mia fisonomia qualche cosa che inspirasse
benevolenza e riguardo. Ma quante buone accoglienze
mi potessero venire usate non valeano a liberarmi
dalla confusione che alla presenza di quell’avvenentissima
creatura s’impadroniva della mia immaginazione già accostumatasi
a riguardare in lei qualche cosa di più che mortale.
Sì: ella compariva ai miei occhi un ente troppo perfetto
perchè potesse essere serbato ad usi terreni, di forme
troppo squisite e sublimi perchè umano intento potesse ad
essa aspirare. Sedutomi per ritrarre i suoi lineamenti su la
mia tela, a quando a quando io figgea gli occhi immobili