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sere privo di danaro, nè pensato mai alla possibilità di simile inconveniente. Ignaro del mondo e d’ogni andamento delle cose del mondo, quando la prima idea di questa deficienza mi venne alla mente, tutte le facoltà della medesima inaridirono. In questo misero stato me ne andai dunque camminando per quelle belle strade che più non dilettavano la mia vista, e il caso portò i miei passi nella magnifica chiesa dell’Annunziata.

Vi stava in quell’ora un pittore celebre della nostra età invigilando al collocamento di un suo quadro sopra un altare. Quel poco d’intelligenza ch’io avea acquistata in tal arte durante la dimora mia nel convento, mi avea fatto quel che i Francesi chiamano amatore entusiastico della pittura. Mi colpì a prima vista quel quadro su cui vidi dipinto un volto della Madonna, sì ingenuo, sì amabile, quanto può esserlo l’espressione divina della tenerezza materna! In quel momento e nell’entusiasmo della mia arte, fui preso come da un delirio. Giunsi insieme le mani mettendo un’esclamazione che l’ammirazione mi suggeriva. S’avvide il pittore di quello stato mio di commozione che solleticò il suo amor proprio. Gli piacquero la mia fisonomia, i miei modi esterni: mi si avvicinò. Avrebbe bisognato ch’io sentissi meno la sventura del non avere solo un amico, perchè potessi ricusare i prevenimenti della cortesia di uno straniero; poi io scorgeva in esso un non so che di benevolo, di conciliante, per cui si acquistò affatto la mia confidenza.

Gli narrai i miei casi e il mio stato, tacendo soltanto il nome di famiglia e la nascita. Diede contrassegni d’uom commosso dall’udito racconto; m’invitò a casa sua: divenni da quel momento l’allievo suo prediletto. Pensò ravvisare in me eccellenti disposizioni alla pittura, e tale sua testimonianza ridestò tutto l’ardore mio verso questa bell’arte. Qual felice periodo della mia esistenza fu quello che trascorsi sotto il tetto dell’uom benefico! Sembrava si fosse creata una nuova anima in me, o piuttosto quanto era in