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che a mio favore. Lo stesso mio padre non si ricordava più della mia fisonomia. Gli dissi dunque il mio nome; me gli gettai a’ piedi; implorai il suo perdono; e lo supplicai fervorosamente perchè non mi rimandasse al convento.
Nell’accoglimento ch’egli mi fece lessi la degnazione di un protettore anzichè la tenerezza di un padre... Ascoltò pazientemente, ma con freddo contegno, la storia delle mie monastiche amarezze e desolazioni; poi rispose penserebbe che cos’altro si potesse fare per me. Cotale freddezza inaridì e fece dare addietro quegli affetti connaturali alla mia indole che sarebbero pullulati al più lieve calore di paterna benignità. Tutti invece gli antichi sentimenti concepiti verso mio padre rigermogliarono. Tornai a riguardare in esso il fastoso vivente che avea sgomentata la fanciullesca mia immaginazione; e i miei sentimenti divennero quelli di un figlio che avesse perduta ogni speranza dell’amore del padre. Mio fratello ne avea incettate per sè tutte le cure, tutta la tenerezza; e avendo contratta anche l’indole paterna, si comportava meco in tuono di protettore anzichè di fratello, trafiggendo così il mio amor proprio che non era poco. Io potea ben sopportare quest’aria di degnazione dal padre mio, ch’io considerava con la riverenza dovuta ad un superiore; ma non sapeva adattarmi all’aria di protezione di un fratello che un intimo sentimento mi dicea valesse meno di me. S’accorsero intanto i servi ch’io era un ospite non gradito e come intruso nella casa paterna, e seguendo lo stile dei loro pari, mi trattarono con trascuranza. Così deluse in ogni punto le mie affezioni, oltraggiate ovunque avrebbero voluto collocarsi, divenni torvo, silenzioso, disanimato; e i miei sentimenti, tutti in me medesimo concentrati, faceano guasto sopra il mio cuore. Rimasi per alcuni giorni in forma piuttosto di mal accetto convitato che di figlio restituito al seno della famiglia paterna, ove io era veramente condannato a vedere sempre interpretata con ingiustizia la mia condotta. Anche in questa occasione, grazie