Pagina:Irving - Lo straniero misterioso (1826).djvu/23


19

fuoco che stavano a bocche aperte per ingoiarci: leggende cui si accordava in vero la sinistra musica del rimugghiar cupo de’ monti che facea crollar ogni muro del monasteri.

Uno di questi frati era stato pittore, ritiratosi poscia dal mondo e venuto ad abbracciare questo genere di sconsolata vita in espiazione di qualche sua colpa: uom malinconico assai, il quale continuando nella solitudine della sua cella a coltivare l’arte che avea professata al secolo, volea che anche questa gli divenisse un modo di penitenza, perchè s’intertenea facendo o su la tela o in cera ritratti di volti e figure umane sformate dall’agonia della morte, o ridotte in tutti gl’immaginabili stati di disfacimento. Vedeansi nelle sue dipinture delineati i misteri orribili de’ sepolcri e delle salme umane divenute lurido banchetto degli scarafaggi e de’ vermi. Ritorsi il passo, persino abbrividito, da una tal galleria; pure col tempo la mia immaginazione, forte quanto mal regolata, m’indusse a cogliere con ardore questa opportunità d’instruirmi sotto la scuola del frate nella pittura. Ogni cosa nuova, qualunque fosse, mi giovava almeno a divagarmi dagli aridi studii e dalla monotonia de’ doveri del chiostro. Fattosi in breve tempo abile alquanto il mio pennello, gli squallidi miei dipinti vennero giudicati degni di decorare alcuni altari della chiesa.

In tale spiacevole via s’innoltrava una creatura non aliena per indole alle soavità del sentimento e ben fornita d’immaginazione. Quanto era di caro e piacevole nel mio carattere veniva rintuzzato, e nulla ne scaturiva che non fosse inutile ed inamabile. Fervido di temperamento, vivace, gioviale, rapido nel concepire e nell’eseguire, io sembrava una essenza formata alle più tenere espansioni del sentimento; ma una mano di piombo aveva atterrate tutto le migliori mie prerogative. Io non sapea meditar nulla che terrore ed odio non fosse. Odiava mio zio; odiava i frati; odiava il convento entro cui mi aveano murato; odiava l’Universo; e odiava quasi me stesso per trovarmi un ente