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che secondava questi miei sforzi fin quanto potea, perchè nulla eravi ne’ suoi modi che sentisse indocilità o fantastisco dispotismo; al contrario più di una circostanza mi provò quanto egli fosse sincero, generoso, modesto in ogni suo atto. Non ispiegava sentimento che non isvelasse nobiltà e grandezza d’animo in lui. Ben lontano dall’immaginarsi che la sua sfortuna dovesse essere a carico di chicchessia, non sollecitava nemmeno l’altrui commiserazione. Parea gli bastasse sopportar silenziosa la soma de’ suoi mali, e solo chiedea sopportarla al mio fianco; ma questo suo chiedere era il muto insinuante atteggiamento di chi riconosce la compagnia che gli fate siccome un caritatevole favore; un tacito ringraziamento che si leggea ne’ suoi occhi, un sentimento di gratitudine, sol perchè io non lo respigneva da me.

Dovetti accorgermi che la malinconia è un mal contagioso; questo s’introdusse quasi furtivo nella mia mente, già si frammettea a tutti i miei passatempi, e a gradi a gradi m’intristiva la vita; tuttavia non sapea risolvermi a sciogliermi dalla vicinanza di una creatura che si tenea stretta a me come al suo solo sostegno. E vaglia il vero: il mio amico avea tal nobiltà d’animo, che i lampi di questa rischiaravano ad ogni istante le nubi del suo tristo umore, e penetravano la parte più intima del mio cuore. Di una bontà liberale, le mani di lui stavano sempre aperte al bisogno de’ suoi simili; affettuosa e spontanea la sua carità, che al merito della cosa donata non limitavasi, egli si metteva ad un livello con gl’individui beneficati. Il tuono della voce, l’ardenza caritatevole delle occhiate, abbellivano di maggior pregio i suoi doni, e sbalordivano il supplicante mendico, fatto attonito da una generosità la più rara, la più affabile, da una generosità che partiva dal cuore, non dalla mano soltanto. Per dir vero sembravami scorgere in questa sua medesima generosità qualche cosa che si avvicinasse ad atto volontario di spregio di sè medesimo, e come espiatorio, perchè dinanzi al povero facea poco men