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sotto il puro cielo d’Italia, intantochè i raggi di questo pianeta, ripercossi dalla torre di San Marco, ne inargentavano il frontispizio e gli emisferi delle sue cupole. Mentre que’ colleghi di diporto manifestavano con animato dire il diletto di tale vista, io tenea gli occhi sul mio giovinetto. Egli solo sembrava estranio all’altrui soddisfazione, e concentrato unicamente in sè stesso. Quivi pure notai quella retrograda occhiata singolare e furtiva (tale era di fatto) che nel casino aveva eccitata la mia attenzione. Intanto la brigata andava innanzi, ed io seguivala; ma giunti al portico detto il Broglio, girarono attorno ad un angolo del palazzo del Doge, e gettatisi entro una gondola, in un subito mi sparirono.

Il volto, il contegno di questo giovine non mi si poteano dipartire dalla mente; e v’era nella sua fisonomia non so qual cosa che mi sollecitava in singolar guisa a prendermi pensiere di lui. Uno, o due giorni dopo lo trovai nella galleria delle pitture. Dovetti fare ottimo concetto della sua intelligenza perchè discernea d’un guardo i lavori de’ più maestri pennelli; e alcune osservazioni che i suoi compagni gli strappavano dal labbro, dimostravano quanto fosse famigliarizzato con questa bell’arte. Pure il suo buon gusto balzava straordinariamente da estremo ad estremo. In Salvator Rosa lo allettavano le scene le più selvagge e solitarie; in Raffaele, Tiziano e Correggio, i più dilicati lineamenti di femminile beltà; l’avreste veduto fisare in questi lo sguardo con entusiasmo passeggero, e che sembrava unicamente dovuto ad una momentanea distrazione. Ma quivi nemmeno cessava mai da quella misteriosa occhiata, retrograda, e da quel rifuggire abbrividito di chi s’abbatte col guardo in un terribile oggetto.

Tornai spesso ad incontrarlo al teatro, alle feste, alle musiche, al passeggio ne’ giardini di San Giorgio, agli spettacoli grotteschi della piazza di San Marco, tra la folla de’ mercanti alla Borsa di Rialto. Sembrava di fatto cer-