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vede la foglia a più lobi, l’ago dell’abete, il trifoglio, il ramo, lo stelo coperto di bottoni o di fiori, l’albero — non però «l’albero della vita» simbolico dell’arte musulmana — , e non meno spesso la spiga, che corona il lungo e faticoso lavoro dei campi, la palma della vittoria in questo annuo combattimento con la terra che si rifiuta e preferisce nutrire i figli delle macchie. Il fiore è imitato in Moldavia, in Bucovina e in Bessarabia, come pure nel Banato, talora con perfetta somiglianza, così da poter distinguere la rosa, il giglio, le campanule dei campi, il papavero, la «bocca di leone», e fors’anco la margheritina (1). Sopra un «casco» del Banato, in mezzo a dei rombi, si vede anche il fiore sullo stelo (2). Se la riproduzione è d’una esattezza troppo brutale, come su certe stoffe moldave o della Bessarabia, ciò è frutto di una recente influenza straniera, che parte dalle regioni germaniche e arriva per il tramite dei Sassoni della Transilvania, dei Tedeschi della Bucovina o dei Polacchi.
L’influsso del Mezzogiorno turco si fa sentire sempre quando si cerca di riprodurre uccelli, animali — per esempio leoni — , tipi umani, sia generici che appartenenti a un’epoca determinata, eleganti del XVIII secolo in larghi abiti orientali o «signori» e «dame» moderne col parasole in mano. Quest’influsso ha prevalso specialmente nell’Oltenia, anche sui grembiuli. L’operazione di «stilizzare» consiste nel rendere la testa e la base con un semplice rombo, le braccia e i piedi con un triangolo orientato in basso e due campanelli che sono i piedi: tre figure geometriche di diverse proporzioni, di cui la più alta si continua con l’ala di un cappello; forse un’altra figura, fra due stelle che fanno una linea spezzata, ornata nel centro da un rombo, ha lo stesso significato. Accanto alle foglie, si hanno dei fiori, senza alcun lavoro di