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Il lavoro artistico delle armi, così perfezionato e capace di iniziative tanto ardite in Oriente, non fu mai introdotto nei paesi romeni, ove la sciabola, la pistola, la cartuccera, il fucile, abbelliti di ornamenti, sono merce turca. Non si sa come si fabbricassero i sigilli; c’erano degli Zingari che ne davano, in condizioni sfavorevoli, esemplari infelicissimi (1); non è il caso di pensare a una importazione (2), ma le città, fors’anco i monasteri, dovevano avere degli esperti artefici, perchè tali oggetti, che del resto appartengono all’arte popolare, sono talvolta di una finezza rara.

Qualche cosa, molto anzi, di quest’arte carpato-balcanica, traco-illirica, passò, grazie ai Goti che vi soggiornarono sino all’invasione unna, nei territori del Dnieper, in paese trace, in Svezia e in Norvegia. Ma l’occidente, il mezzogiorno e il settentrione non mancarono di falsare tale arte o almeno di mescolarvi elementi evidentemente eterogenei.

La più osservata e citata tra le forme con cui si manifesta l’influenza occidentale viene dall’Italia, ossia quasi esclusivamente da Venezia, attraverso quella Dalmazia che fu per secoli una provincia della Repubblica di San Marco. L’oreficeria, la fabbricazione delle pietre false, fornirono vantaggiosamente merci a tutto l’occidente della penisola; in uno dei lavori pubblicati da Haberlandt si vede anzi l’alato leone di Venezia accanto alle aquile bicipiti richieste dalle abitudini politiche, dalle tradizioni e dalle aspirazioni dei Balcanici. La filigrana di Venezia entrò nel programma del lusso, ecclesiastico o profano, dei Greci, degli Slavi, dei Romeni. Ma fu tutto.

  1. V. i nostri Studii și documente, III, p. LIII.
  2. Circa la spada ordinata da Stefano il Grande, principe di Moldavia, a Genova, v. i nostri Acte și fragmente, III, p. 43. Cfr. Iorga o Balș; Histoire de l’art roumain, Paris 1920.