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nel regno vicino, e si ricollega con quello dell’Albania e della Macedonia; non tenendo conto delle raffinatezze del gusto, che talvolta mancano oltre il Danubio, è difficile distinguere un costume della pianura valacca da quello della Bulgaria fino ai Balcani. Anche le Grecia, che ha gli stessi sandali, la stessa camicia svolazzante, e nel fez una variante di panno rosso del berretto di pelo bianco, grigio o nero dei paesi slavi, albanesi e romeni, non è estranea a quest’arte.
D’altra parte, il contadino sziculo della Transilvania si veste come il suo vicino romeno, e in parte come gli stessi Balcanici; il vestito del «Sassone», venuto da una «Fiandra» che è sulla Mosella, ha alcuni elementi di ugual carattere. Le Ungheresi delle colonie stabilite nelle montagne moldave hanno conservato il costume dai lunghi veli, disposti sopra una impalcatura speciale, che le Romene hanno abbandonato, e che si ritrova pure presso le Rutene della Bucovina e delle prossime regioni ucraine.
La decorazione, nelle sue linee essenziali, si conserva la stessa dall’una all’altra delle regioni suddette. Lo studio comparativo del tappeto è specialmente istruttivo; salvo il cromatismo e alcuni dettagli che permettono di riconoscere la provincia, è lo stesso in Romania, in Ucraina — la commissione austriaca funzionante in Bucovina potè appena fare delle distinzioni basate sul grado di gusto di cui facessero prova le due nazioni; e lo stesso dicasi della Bessarabia, ove prima della guerra fu pubblicato un album corrispondente — ; uguale è il carattere dei disegni: schematizzato, lineare, geometrico, astratto.
Quale conclusione può trarsene?
Ecco quella che s’impone: uno stato d’animo identico in un gruppo di popolazioni appartenenti alla stessa razza potè creare il tipo che i secoli non son valsi a cambiare nè le frontiere a differenziare essenzialmente.
Ora, questa razza è ben conosciuta.