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164 | capitolo vii |
anni come lui, e fà, Signore, che, pella giustizia dell’Europa, pello sviluppo delle nostre istituzioni, pei tuoi sentimenti patriottici, possiamo riaggiunger quei gloriosi tempi della nostra nazione in cui Alessandro-il-Buono diceva agli ambasciatori dell’Imperatore di Bizanzo che: La Rumenia non hà altro protettore che Dio e la sua spada. Altezza evviva!»
Fù buono e mite e rimase sempre «semplice di costumi», senza fasto, senza superbia, senza quel formalismo che i Rumeni non hanno mai amato e che non gli hà imposto mai; viveva nel suo palazzo come un semplice cittadino. Ma compiva la sua missione da principe, arrischiando il trono, senza rammarico e senza ostentazione, per realizzar il programma che le Adunanze nazionali gli avevano imposto. Riprese nel 1863 ai monaci greci i poderi dei conventi dedicati ai Luoghi Santi da principi e boiari, nel corso di tre secoli, terreni che formavano la quinta parte di tutto il paese. Sciogliendo la Camera composta da reazionari o agitatori incapaci di comprendere che il nuovo Stato non poteva reggersi che sulla libertà, la prosperità e ’l patriotismo dei 4.000.000 di contadini, fù egli a decretar la «legge rurale» del 15/27 agosto 1864, che dava loro l’intiera proprietà dei loro campi che onestamente pagarono ai detentori. Già sul principio del 1862, dopo un viaggio a Costantinopoli, dove la sua simpatica persona guadagnò amici alla Rumenia e la sua virile rizzolutezza intimidò i nemici, potè