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sottomissione della dacia, ecc. | 11 |
trovar in un’altro mondo, nella cui esistenza credevano entusiasticamente questi seguaci di una nobile religione che predicava il dogma dell’immortalità, la libertà che non potevano più goder in questo.
Così diventò ’l paese dei Daci nell’anno 106 dell’era cristiana provincia romana. Un tentativo degli alleati di Decebalo, Rossolani ed altri popoli vicini, di scacciar gli usurpatori, non poteva riuscire, e, mentre si scolpivano a Roma dai primi maestri del tempo le scene di quella Colonna che conserva ancora in ritratti, atteggiamenti e moti la storia della guerra dacica, mani meno avezze ergevano nella Scitia Minore, presso a quel Ponto, in vista al quale, sotto Augusto Cesare, Ovidio aveva pianto, a Tomis, tra rozzi Sarmati e donne barbare le splendori perdute di Roma, quel monumento commemorativo del Tropaeum che supplisce alla conoscenza dei vinti.
7. «Dopo aver sottomesso la Dacia», scrive l’abbreviatore Eutropio, «Traiano vi traspose per coltivarne i campi ed erger città, un’infinità di coloni, presi da tutto l’Imperio». Molti Daci erano morti nella lotta disperata oramai finita; altri giravano raminghi nei contorni della nuova provincia. Per supplire alla penuria di abitanti ed anco per dar alla Dacia romana quel carattere necessario di più alta civiltà, furono attratti tutti quei Romani di nazionalità e patria diversa. Le miniere d’oro ed argento che nei monti di Tran-