Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
136 | capitolo vi |
educati in Italia, dei Levantini che si conservavano ancora, una parte larga della vita culturale francese ed italiana, la lingua italiana essendo fin verso ’l 1700 lingua diplomatica e commerciale in quei paesi.
9. Parlavano e scrivevano l’italiano tutti quei Fanarioţi che erano stati prima dragomani della Porta, i Greci e Rumeni: Nicolò Mavrocordato, autore di un «De officiis» greco, ed i figli suoi, tra i quali Costantino, senza scriver come ’l padre trattati di morale filosofica, straniera ai compromessi colla realtà sociale e politica, fù uno dei più colti Orientali del suo tempo; Gregorio Ghica, il di cui fratello, principe onorifico, negoziò la pace di Belgrado cogl’Imperiali e coi Russi e la pagò colla propria testa, ed i suoi figli; il nipote Gregorio, figlio di Alessandro e, come questo, decapitato, per ordine del Sultano, nel 1777; Giovanni Calmăşul, che si faceva chiamar Callimachi ed i figli Gregorio ed Alessandro, che ricevevano ed onoravano, nella sua qualità di scienziato, l’abate dalmata Boscovich, autore di un viaggio nei paesi del Danubio. L’influenza francese si sente sempre più nei Fanarioţi della seconda metà di questo secolo decimottavo: Alessandro Ipsilanti, il quale confidava l’educazione dei suoi figli uno di loro, Constantine, sperava diventar coll’aiuto dei Russi «rè della Dacia», al Ragusino Raicevich, scrittore di pregiatissime «Osservazioni» sui principati, che visitava in quei tempi anche Domenico Sestini, il quale leggeva anche