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132 | capitolo vi |
fù protetto dai Fanarioti stessi più che dai ricchi e liberali principi di nazionalità rumena, fautori di un Dositeo patriarca di Gerusalemme, ospite loro nel corso di lunghi anni.
Gregorio Ureche, Vornic (conte palatino) di Moldavia sotto Basilio e coetaneo di quell’erudito logoteta Eustratio che traduceva dal testo greco le leggi romane e bizantine, dava verso il 1650 una versione dei vecchi annali del principato. Dell’unità del popolo rumeno, spartito tra diverse dominazioni se ne rammentava ancora, e ricercava gli antenati di questa romanità orientale. Fiacco, l’eroe eponimo inventato da Enea Silvio de’ Piccolomini, era per lui il fondatore della nuova nazione, e citava parole rumene che rassomigliano a quelle dei «Romani che si chiamano Latini» o dei «Franchi», cioè Italiani. Del resto l’origine romana la sapeva anche l’autore di quel compendio degli annali moldavi compreso nella cronaca russa, la figlia di Stefano-il-Grande, Elena, avendo sposato il figlio dello Zar Ivan; e della Valle aveva inteso dai monaci rumeni di Dealu, calligrafi e stampatori dilibri slavi, la stessa spiegazione del nome nazionale e degli elementi latini della favella volgare.
Il Logoteta Miron Costin, partigiano dell’alleanza coi cristiani e dell’annessione al regno polacco, simpatie che gli cagionarono la morte, comandata dal principe Costantino Cantemir, scrisse, in lingua rumena e in lingua polacca, la cronica dei suoi tempi