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122 | capitolo vi |
2. L’importanza politica dei principati sparì colla morte di Mateiu. Rákóczy I trattò i suoi vicini come vasalli e, distruggendo, in seguito al desiderio espresso del nuovo regente valacco Costantino, figlio di Radu Şerban, i mercenari serbi e rumeni, principale forza militare del paese, se lo rese ancora più ubbidiente. Nella sua spedizione in Polonia, di cui sperava poter esser rè, furono impiegati, anche contingenti rumeni, e la Porta punì tutti i partecipanti alla guerra. Finché Rákóczy stesso ebbe perduto il trono e la vita, com’anco, in seguito, il suo generale, Giovanni Kemény, il quale, coll’aiuto degl’Imperiali, cercava di mantenersi principe libero di Transilvania, furono scacciati l’uno dopo l’altro, da Turchi e Tartari, Costantino, Giorgio Stefano, che morì in Stettino di Pomerania, ed un secondo Mihneà, che si faceva dar il titolo d’arciduca, uccise i boiari e volle rinnovar le gesta del gran Michele contro i Turchi. Nei principi delle famiglie duca, Duca, Tomşa, Rosetti (Levantini di Costantinopoli), nel figlio di Lupu o in quello d’Alessandro Iliaş, ed in qualche povero vecchio boiaro valacco o moldavo (Eustatio Dabija) la Porta aveva trovato, non veri principi, ma strumenti delle sue estorsioni e della sua tirannia.
3. Nell’anno 1630, coll’aiuto degli ambasciatori francesi a Costantinopoli, ricominciò la partecipazione degl’Italiani, Francescani Conventuali, alla propaganda cattolica in Oriente. Un della Fratta, un Paolo