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128 de antiquissima

sia o la forza d’immaginare è la madre delle poetiche invenzioni: lo che non avvertendo i grammatici, dicono molte cose poco vere dintorno alla Memoria, dea de’ poeti, alla quale essi ricorrono ne’ loro maggiori bisogni; e con l’implorare l’ajuto di quella, danno ad intendere al volgo succedute le cose che narrano; ma in verità essi l’implorano per ritrovar cose nuove. Ciò bastami per ritrarre che queste voci furono usate in cotal saggio sentimento dagli antichi filosofi italiani, ch’essi opinassero noi non aver cognizione alcuna che non ci venga da Dio. Che poi ciò si faccia per via de’ sensi, come vuole Aristotile ed Epicuro; o che l’imparare non sia altro che ricordarsi, come piacque falsamente a Socrate od a Platone; o che le idee in noi sieno innate o congenerate, come medita Renato; o che Iddio tuttavia le ci crei, come la discorre Malebrance, nel quale volentieri inclinerei: lo lascio irresoluto, perchè non volli trattare in quel libricciuolo cose di altrui.

§ iii.
Delle Origini.


Circa le origini delle voci, in cotesta Replica (pag. 115), mostrate non esser soddisfatti de’ luoghi ond’io confermo le prime due pari, e dubitate di alcune altre seguenti. E primieramente non vi appaga il luogo di Plauto, dove optime factum spiego adprime verum; e replicate che a quella ingiuria Furcifer, che gli dice Pseudolo, Ballione risponda, optime factum, cioè fu fatto benissimo, per fatto con somma ragione.

Ma dubito fortemente che la buon’aria dei parlar latino non permetta sì fatta spiegazione, a cagion che un tal sentimento si suole spiegare con la frase jure factum, non bene factum; poichè noi vediamo usarsi la frase bene factum ogni qualunque volta ci vien narrato avvenimento di cosa desiderata. Onde in infiniti luoghi de’ due Comici, all’udire liete novelle, sentiamo rispondere da chi se ne rallegra o congratula, bene factum; bene; inquam, factum, bene, ita me Dii ament, factum: che si renderebbe in italiano, io ne ho un gran gusto. Onde al più al più quel luogo si dovrebbe per cotesto verso spiegar così, che all’ingiuria, la quale gli dice Pseudolo di Portaforche, Ballione risponda, O che grandissimo gusto che mi hai tu dato!

Talchè seguendo cotal interpretazione, sembra nulla conferire al vostro pro quell’altra che gli date, egli è verissimo, ciò essere ottimamente fatto; e tutto ciò che in confermazione ne adducete dell’Aristotelico di buon gusto Onorato Fabri. Perchè tutto ciò avrebbe luogo se Ballione avesse risposto jure factum; e per la serie delle prime risposte tutte dinotando verità, ita est, vera dicis, quippini? quest’ultima si enuncerebbe: egli è vero, ciò esser verissimo; della qual enunciazione non si può immaginare nè più inutile nè più vana.