Ma ahimè! ch’io veggo, a quel sanguigno lume,
Un ceffo di leon che a lui sen viene.
A la bocca gli bollono le schiume; 140Scuote la giubba e le torose schiene.
Che far? Se egli a fuggir non ha le piume;
Se di sudor, se di stanchezza sviene.
Non che coll’adamante or abbia lena 144A portar alla bestia acerba pena.
Presso è il crudel che l’ha veduto e gode,
Tutta aprendo ver lui la gola ingorda:
Rizza la chioma, e corre, e ruggir s’ode, 148Qual tuon che il cielo e le campagne assorda.
Pur anco in senno è l’uom, si che a le sode
Piastre qui gli sovvien la macchia lorda
Levar; e in fretta il manto in man si tolle, 152Che a tempo di sudor tutto esce molle.
Terge la liscia gemma colla veste,
E quella facil torna ai primi lampi:
Poi la volge al leon con mano presta. 156Che già gli avea quasi levati i scampi.
L’abbagliante fulgor si lo molesta,
Che par che crolli e dubbie l’orme stampi:
Già cade al suolo; e (o rara meravigliai!) 160Nuove sembianze e nuova forma piglia.
Qual nel suo nido, l’unica fenice
Del sol si rinnovella a’ caldi rai;
Augel ch’essere al mondo ognuno dice, 164Dove si trovi alcun non seppe mai.
Dal cenere fecondo, il raggio elice
Verme diverso da la madre assai;
Ma anch’egli veste già piumoso velo, 168E altra e istessa ne va fenice al cielo.
Non altrimenti, al chiar di quello scudo.
L’orrido bruto trasformarsi vedi.
Capo uman con celata il muso crudo 172Ti appar, che quasi all’occhio tuo non credi
Tutto d’acciar si veste il dorso nudo.
Un uom s’è fatto; ed è guerriero in piedi:
Ma non nemico più; che fa il comando 176Or de l’altr’uomo, e per lui stringe il brando.
Guerriero ora non è terribil meno
Di quel che fu leon: sol si soggetta
A chi il trasforma, obbediente appieno; 180E fa di lui, sugli animai vendetta.
Quello i nemici suoi scopre al baleno,
E questo i colpi de la spada affretta:
Portan sul monte entrambi uniti il passo, 184E lascian l’atra selva e l’aer basso.