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42 | altre poesie |
D’opra Neron; molto Massenzio; molto Diocle,
Cui lavoran più di mille mani. In un altro riposto
140Angolo dello speco, tre giganti ordiscono grande
Tartarea invenzion. Rota, che in sul perno si volve,
Tutta di coltelli circondata, tutta di denti.
Parte da queste mani n’era omai perfetta: ma parte
Scabra giace sotto ai colpi de le mazze sonanti,
145E scintille vibra: rimbomba il fornice largo.
Non Bronte, o Sterope, non con nude membra Piracmon,
Fer tanto strepito in Lipari per l’ottimo Teucro,
Quanto ardenti d’ira quei spirti all’Alto ribelli.
Mentre l’opre orribili qui affrettano contro de’ Santi.
150Nè alcun manca pure, che fusil rinnovelli di bronzo
Di Falari il tauro; il traggon da la concava forma.
Altri vi si interna, e se bene sien fatte le fauci,
Fanne gemendo prova, e fuor mugghio tosto ne venne.
Stolti! che non gemiti, ma giocondi altissimi plausi,
155Quinci udiransi a voi, delusi lasciando in Averno,
I gemiti e il mugghio d’un più abbruggiante baratro.
Altri pur il tempo non perdono nel loro penso.
Non s’io cent’abbia lingue, e cento abbia bocche,
Ferrea pur la voce, potria narrando ritrarre
160Tutte de’ tormenti le spezie, tutte le forme.
Che, dappoichè fur compiute, e a termine tratte:
Or sia vostra cura, disse il gran prence de l’Orco,
Far ch’una non resti nell’ozio pigro sepolta.
Andatene, e de’ regi empitene li superbi palazzi.
165Partono; e solleciti quei, del Duce l’ordine fanno