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altre poesie 109

A me incresce lasciarla;
Poichè mi piace quel divino ordegno,
D’ogni alta riverenza e d’amor degno.
E benchè e’ sia di legno,
Credo che brami ch’io torni a vedello,
Avendo in me trovato un buon fratello:
Un problema novello,
Un contrapposto delle glorie sue;
Un convitato che mangia per due.


AL NOBILE SIGNORE GIOVANNI PEZZOLI.

(1785.)


Ah! Ahi! che all’atto son di partorire;
E partorisco ahi! ahi! cupole ed archi;
E i fianchi miei ne son si tesi e carchi,
Che se presto non fo, rischio morire.
Maledetto il brucior di divenire
Autor d’un libro, che il mio nome marchi:
Se avvien che in tal imbroglio io più m’imbarchi
Mi possa al parto il canchero venire.
Que’ che non sanno che dir voglia un parto
Mi chiamano misantropo selvaggio;
E chieggon se la luna ha fatto il quarto.
La società mi scusi se la schivo;
In pubblico sgnaolar non ho coraggio:
La servirà mio figlio, se sta vivo.
Io so bene a chi scrivo,
Signor Giovanni egregio e senza pari,
Che m’avete trovati anco i Compari:
Cavalier degni e rari,
Che con voi stanno a darmi apparecchiati
Un’ottima panata di ducati.
Or prego solo i fati.
Che essendo già maturo il parto vostro,
Venga in luce ad onor del secol nostro.
Fin dall’Elisio chiostro,
Dolce si lagna il Lirico Romano,
Che l’anno nono è già passato in vano,
Dacchè ei, cigno, Toscano,
Fatto per almo don di vostra Musa,
Ancor non può veder Sorga e Valchiusa.
Nessun timor vi scusa.
L’opra del secol d’oro avendo il pregio,
Avrà del secol d’oro il privilegio:
Con un novello fregio,
E senza duol di chi l’ha concepita,
Vedrà le lucid’aure della vita.