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altre poesie | 103 |
Un Sonetto che vende ameni detti
Si innoltra anch’esso e bona grazia spera.
E fatta riverenza a quella schiera
Che vive di magnifici concetti,
Vorria sciogliere alquanto i loro petti
Dall’inarcata maestà severa.
Il vestito che attorno mi vedete
Mel diè Francesco Berni (requiesca!),
Bizzarro, benchè val poche monete.
Se la presenza mia goffa e burlesca
Di voi, Signor, che qui raccolti siete,
Non par che troppo ben degna riesca;
Vedermi non v’incresca
Supplir a ciò con un poco di coda,
Chè maestade accresce questa moda.
8.
Quel mostro, che un sol occhio aveva in fronte,
Alto come un cipresso e più di quello,
Brutto come orso, benchè a sè par bello,
Cugin di Piraemon, fratel di Bronte;
Le sette canne al labbro aveva pronte;
Che non zampogna ma parean rastrello;
E con sospir che trasse il mostro fello
A lor die’ fiato, e rimbombonne il monte.
I rozzi carmi il fier Ciclope accoppia
Eco facendo a lui l’ampia caverna.
Che di sue note il numero raddoppia.
Spiega l’ira crudele e il rozzo affetto
In quattordici versi in rima alterna:
Ed ecco il Polifemico Sonetto.
9.
Son de la razza de’ Sonetti anch’io,
Benchè chiamato filosofo sia:
Non è diversa la struttura mia
Da ogni Sonetto germano e natio.
Sol nutro in core diverso desìo:
Piena ho la mente di filosofia,
Stilla da’ labbri miei la poesia;
In ambe l’arte è grande il saper mio.
Se presso alcun, Poeta vuol dir matto,
E Filosofo ancor quasi lo stesso;
Cosa vi manca, ond’io sia pazzo affatto?
Vi mancherebbe che aggiungessi appresso
Del pittor l’arte a far compiuto l’atto:
Ma a questo non mi son per anco messo.