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I SONETTI.
1.
Io Sonetto mi chiamo; e s’hai diletto
Saper chi m’abbia un cotal nome dato,
Non tel so dir; che in fasce io era stretto,
Come tu, quando fosti battezzato.
Della mia patria non mi fu mai detto,
Del padre, nè dell’anno che son nato:
Guitton d’Arezzo cavalier perfetto
Solo mi fu per bailo assegnato.
E poichè ei visse secondo la storia
Non molto dopo del milleducento.
Se per vecchiaja non perdo memoria:
Tu vedi, ch’io son vecchio, eppur nol pajo;
Poichè di metri in cento forme e cento,
Io la fo ancora da moderno e gajo.
2.
Se vuol sapere alcun di chi mi ascolta
Il nome di Sonetto onde derivi.
Gli dirò in prima senza pena molta,
Ch’è della lista de’ diminutivi.
E non da sonno vien come talvolta
Potrebbe dire alcun senza motivi;
Bensì da suono questa voce è tolta,
Chè con un enne sola tu la scrivi.
Come da fiore fioretto si face,
Come da uccello formasi uccelletto;
Così sono e sonetto si conface.
E come più d’un fior piace un fioretto,
Più d’un uccello un uccelletto piace,
Sì più d’un son piacer deve un sonetto.
3.
La Satira in pensier un dì s’impresse
Di far delle sue armi un inventario;
Poichè omai lo vedeva necessario,
Perchè una in tante non se ne perdesse.
Le trovò allor si numerose e spesse.
Che tutto quanto pieno ora l’armario.
Stavan libri e poemi in ordin vario,
Capitoli, canzon, madrigalesse.
Il Sonetto che stava in l’armi corte,
Forse temendo d’esser trascurato,
Alzossi e disse ad alta voce e forte:
Satira, il nome mio fra’ primi arrola;
Se pure è ver che in un nemico irato
Più di schioppo si teme una pistola.