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Alla popolana sorse l’idea che la fanciulletta potesse aver fame. Corse ad una madia, dove trovò ancora un pane assai duro, ne inzuppò alcune fette in un bicchiere di vino e gliele portò.

La bambina si mise a mangiare avidamente. Annetta l’imitò. Il sole brillava nella stanza riempiendola di calore, di allegrezza. Un senso di benessere infinito invadeva il cuore della popolana. Ebbe per un istante il pensiero di nascondere gelosamente quella piccina, conservarla per sè sola. Come avrebbe rallegrata la sua solitudine, riempito il suo cuore! Quanti baci, carezze, cure infinite, avrebbe avute per lei!

Ma quasi tosto provò un brivido di rimorso; quella creaturina doveva avere una madre, che forse in quell’istante la piangeva, la chiamava con grida disperate.

La popolana non poteva mentire al suo cuore: non pensò più alla propria felicità, ma grande d’abnegazione, consolandosi all’idea della gioja che avrebbe procurata a quella madre, si mise tosto a farne ricerca. Ma per quanto s’informasse, mettesse in moto vicini ed amici, non potè trovare alcuna traccia dei parenti di quella fanciullina, nè giunse mai a sapere da chi fosse stata posta sulla soglia del suo uscio e da chi provenisse quel sangue, dal quale aveva aspersi i candidi abitini.

La bambina non era in grado di dare  spiegazioni: l’unica parola che uscisse chiara dai suoi rosei labbruzzi era quella di «mamma»

Annetta non ebbe allora più scrupoli di tenerla con sè e in memoria del suo Mario, l’adorato ma-