Pagina:Invernizio - La trovatella di Milano, Barbini, Milano, 1889.djvu/116

112


— Ignoravo la vostra storia, — balbettò il conte colle labbra tremule, convulse.

— Credete di scusarvi col dirmi questo? — proruppe con impeto Maria. — Forse perchè figlia del popolo, ero meno degna di pietà, di rispetto, di vostra figlia? Ed avete voi risparmiata Adriana, che pur viveva al vostro fianco, che vi amava? E vi chiamate padre, venite a dirmi: «Tu sei mia figlia!» Ebbene no, io non vi conosco; è già troppo che abbia commesso un delitto per cagion vostra, vi abbia risparmiata una vergogna, porti il peso delle vostre colpe e non ne aggravi la mia innocente sorella: non voglio saper altro di voi, nè dovervi nulla. Io non avrò altro nome che quello datomi da mia madre adottiva, io non sarò che sua figlia!

Così dicendo s’inginocchiò su di uno sgabello, dinanzi alla popolana, le appoggiò la testa sul seno.

Annetta che l’aveva ascoltata in silenzio, in preda ad un’emozione indescrivibile, si curvò verso di lei, baciandola a lungo, con intensa passione; i suoi occhi erano pieni di lacrime.

Il conte era impallidito sotto la contrazione di una sofferenza acuta.

— Dunque mi rinneghi? — balbettò.

Maria non rispose.

— Sono stato molto colpevole — proseguì il conte — ma vorrai tu essere inesorabile con me, che venni qui per riparare i miei torti, renderti il posto che ti aspetta, le ricchezze alle quali hai diritto?