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Egli tremò ancor più sentendo la voce dell’accusata, che ripeteva la confessione fatta al giudice istruttore, senza aggiungere o togliere una sola parola...
— Insistete a dire che eravate sola col marchese Diego nella villa di Cernusco, dove egli stesso vi condusse? — esclamò il presidente. — Continuate ad affermare che avete colpito per difendervi?
— Affermo ed insisto, perchè è la verità. Avevo il desiderio di punire colui che mi straziò l’anima, mi coprì di vergogna, ma vi giuro che non l’avrei fatto, se egli stesso non mi avesse spinta.
Parlava con voce chiara, che aveva talvolta delle vibrazioni dolci, armoniose; tal altra diveniva amara, convulsa, stridente.
Quando ebbe finito sedette, senza dare alcun segno di stanchezza, di sofferenza.
Dopo di lei fu udito il servo del defunto marchese. Con sorpresa del presidente e degli altri, ritirò quanto aveva ammesso durante l’istruttoria, disse che quel giorno per il dolore della morte del padrone aveva perduta la testa, che non sapeva quello che si dicesse, ma la verità si era che nella notte dell’assassinio, il marchese l’aveva con un pretesto lasciato a Milano, perchè forse voleva condurre a Cernusco la bella guantaia. Aggiunse che spinto da un tristo presentimento non seppe resistere di rendersi disobbediente al padrone, ma non fu in tempo di recarsi alla villa, prima che l’assassinio fosse compiuto.
Si capì che quel servo, dall’aria furba e cinica,