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Non eravi straniero di quanto vuoi lontana regione che al primo suo arrivo in questa metro poli non dimandasse del Pichler, nol visitasse, e non gli allogasse lavori. E bella gloria fa al certo per lui, allorquando per la Imperatrice Giuseppina eseguì un lavoro commessogli nel real nome dal francese Nitot giojelliere di corte che allora trovavasi in Roma. E sebbene questi e molti altri ammiratori del Pichler si sforzassero d’indurlo a trasferirsi in Parigi, capitale che poteva in vero adescare ogni animo avido di gloria e di fortuna, tuttavia non poterono spingerlo ad abbandonare la patria. Nondimeno le ordinazioni avute da Vienna per parte del principe Zinzendorf, del conte Lodron, del cav. Malia, e di altri gl’ingenerarono il desiderio di visitare di nuovo quella città imperiale. Tolse a motivo il presentare da se stesso i compiuti lavori. Il Zinzendorf, sì per la fama che il Pichler godeva, sì per le raccomandazioni fattegli dall’immortale Canova gli diè generosa ospitalità; nè volle che ne ripartisse, se prima non fosse ricevuto in udienza dall’imperatore Francesco I prossimo a tornare dalla Dieta d’Ungheria. Frattanto avvicinossi pure al conte Stadion allora ministro degli affari esteri; onde l’Imperatore che già conosceva il Pichler per fama, e n’era stato amorevolmente prevenuto dagli officj di così ragguardevoli personaggi lo accolse in modi oltre ogni credere benigni, e dissegli voler fare con esso lui ciò che l’imperatore Giuseppe II fatto avea col fratello Giovanni. Accoglienza sì nobile onorò il Pichler, ma non lo invanì, e fu lieto tornarsene alla sua Roma ove ogni giorno più i suoi lavori invogliavano.