|
LIB. I. §. §. 105-113. |
37 |
possono adottare, non avendo in potestà neppure i propri
figli naturali. §. 105. Se taluno adottò dinanzi il Popolo,
il Pretore, o il Preside della Provincia, può dare in adozione
il proprio figlio adottivo ad un’altro. §. 106. Si aggiunga,
che la questione se un più giovine possa adottare
un più vecchio si riferisce ad ambedue le adozioni. §. 107.
È speciale dell’adozione che si fa dinanzi il popolo, che
se l’arrogato ha figli, assoggetti sè ed i figli come nipoti
dell’arrogante.
§. 108. Ora vedremo quali persone sieno in mano nostra, locchè costituisce un diritto proprio dei romani cittadini.
§. 109. Sogliono essere sotto la potestà maschi e femmine,
le sole femmine sono in manu.
§. 110. In passato vi cadevano per tre guise, coll’uso,
col farreum, o per coempzione.
§. 111. La donna rimasta un anno di seguito in matrimonio,
diveniva in manu coll’uso; giacchè venendo come
usucapita col possesso di un anno, transitava nella famiglia
del marito qual figlia; epperciò la Legge delle dodici
tavole disponeva che la donna la quale non voleva così
cadere in manu mariti, dovesse assentarsi ogni anno per
tre notti, interrompendo così l’usucapione annale; ma tutte
queste disposizioni in parte furono abrogate, in parte caddero
in disusanza.
§. 112. Le donne vengono in manu col farreum, mediante
una specie di sacrificio, in cui si adopera un pane
di farina di frumento, e da ciò deriva la parola confarreazione; ma a ciò, conviene eseguire eziandio altri riti, e
pronunciare certe parole sacramentali alla presenza di dieci
testimoni, locchè si pratica anche ai nostri tempi; in fatti
i Flamini maggiori, cioè Diali, Marziali, Quirinali, come
capi dei sacrifizii se non sieno nati da matrimonio di
confarreazione non potrebbero prestarsi all’inaugurazione.
§. 113. Le donne cadono in manu per coempzione, me