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E per cangiar del rio proposto insano
     L’audace Erisittone, a lui si accosta
     57Con questo favellar soave e piano:

Figlio, desio de’ tuoi, deh! figlio sosta,
     Deh! non guastar queste corteccie avanti,
     60Son sacre a numi, i tuoi sergenti scosta;

Potresti penitenza averne e pianti,
     Se Cere se n’addasse, a cui sacrati
     63Sono i dì della pianta, che tu schianti.

Con quelli truculenti occhi affocati,
     Che suol leena a cacciator di Tmaro
     66Posata al nido de’ suoi erudi nati,

Del cui piglio non ha altro più amaro,
     Squadrolla, e cominciò: Vattene o certo
     69Proverai come fenda questo acciaro.

Da quella trave mi sarà sofferto
     Il coverchio d’ostel, che dovrà stare
     72Sempre a letizia di convivi aperto.

Nemesi registrò l’empio parlare,
     Arse la diva, e Cerere mostrossi,
     75E dalla terra al ciel parve arrivare.