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Che le valli Cranonie, i gioghi d’Ossa,
     La montagna di Pindo e la Tessaglià
     Tutta si fu per lo fragor commossa.

Non così Briareo, che si travaglia
     185Sotto la rupe e le caverne estreme
     Crollando, il fumo e le faville scaglia;

Nè la fornace Etnéa sì forte geme
     Quando il martello di Vulcan l’introna,
     O cadendo i treppiè cozzano insieme.

190Tanto quel bronzo orribilmente suona;
     Pur non mosse Penéo le piante mai
     Infin che: vale, gli gridò Latona.

Non vo’ la mia cagion, che a mieter guai
     Abbi da cortesia: mercede degna
     195A tua benigna volontade avrai.

E tragge al mare: e a qualche isole vegna,
     Proda non trova a’ suoi desiri molle,
     Non l’ospital Corcira e non Sardegna,

Che di paura sì dall’alto colle
     200Di Mimante accennando Iri le punge,
     Che ciascheduna per fuggir si tolle;