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prefazione xv

«condam Galeotti de Normandis olim de regione Columpne et nunc de regione Trivii», Cosi gl’Infessura s’imparentarono coi discendenti di quel Galeotto Normando che re Ladislao fece cavaliere a San Marcello nel 1404, e cui la fazione Orsina ed ecclesiastica cinque anni dopo, a’ 21 di giugno, tagliò la testa1. E Stefano, ammogliatosi a Francesca vedova già d’un Paparoni, ebbe pur esso due soli figliuoli: Marcello e Matteo. Quest’ultimo nel 1505 era già morto; quasi fosse destino che cittadini amanti della libertà dovessero avere in Roma vita agitata e breve.

E agitata ebbe a menarla nella sua giovinezza anche il nostro Stefano. Si trovò ai rumori e alle giustizie per la congiura di Stefano Porcari. «Veddilo io», esclama, «veddilo io vestito di nero in iuppetto et calze nere pendere quell’huomo da bene, amatore dello bene et libertà de Roma»2 . Egli e suo padre e tutti i fratelli ebbero brighe con tal Gasparraccio della Regola, brighe che nel 1470 si terminarono con atto di securtà e di pace solenne3, ma che prima ebbero a perturbare non poco la pace della loro famiglia.

L’anno in cui Stefano nacque non ci risulta da documenti. Sappiamo che nel 1500 era morto, dacché appunto in quel mese Marcello e Matteo suoi figli convengono col camerlengo della chiesa di S. Maria in via Lata, promettendo al Capitolo un’annua cavallata di mosto in compenso d’una messa alla settimana, in giorno di lunedì,

  1. Cf. Diario, pp. 10 e 17.
  2. Diario, p. 54.
  3. Cf. Arch. Soc. rom. st. patr. XI, 592.