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lui e giovinetto, su cui il Settembrini scrisse pure alcune parole di cuore: per questo, per tacermi degli altri, al Manzoni volle un gran bene, che anche lui gliene voleva molto (e chi non gliene voleva?); e a quel padre Ludovico da Casoria, a quella figura santa, semplice, dolce, che, come ne scrisse Alfonso, raccoglie elemosine e va in Africa, e quanti può compera da’ mercatanti fanciulle e fanciulli negri, e menandoseli a Napoli, alle sue amenissime case di Capodimonte, li educa alla religione, alle lettere, all’arti, facendo su quelle tumide labbra sonare la lingua d’Italia.

Rivelò Alfonso il suo senso artistico eziandio nelle poche cose messe da lui a stampa, tutte in lingua tenerissima, relazioni e libricciuoli d’argomento pedagogico intorno agli asili, un volgarizzamento d’un’operetta di San Bonaventura, e la difesa, dedicata a Gino Capponi, del ricovero degli accattoncelli di Padre Ludovico da Casoria, di colui che ricordavagli più che altri i Fioretti di San Francesco. E più e meglio lo rivelò nelle critiche, le quali con meravigliosa perspicacia e prontezza, conversando con i suoi amici, faceva su gli scrittori. Il suo giudizio, per passarmi di altri, tenuto era in gran conto anche da quel maestro di arte che è il Fornari. E il giudizio soleva essere rigido, dimodochè una volta discorrendo il Bonanno e io insieme, dicevamo l’uno all’altro: io non mostrerei mai ad Alfonso un lavoro, se non dopo fatto e stampato, che, se no, te ne dice tante, che ti fa cascare le