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Io ascoltai come fossero dette candidamente queste parole:

— Dovremmo essere amici — disse Anna — , se non per altro, perchè ci conosciamo dia, tanto tempo!

Tacque un istante, per riprendere con disinvoltura:

— Che pelle buggerona ero io a sei o sette anni! Ricorda? Io mi ricordo quando lei venne la prima volta quassù. E mi par di vedere Ortensia piccola piccola in braccio a sua madre. Che bellezza era allora la signora Eugenia! Una Madonna! Bambina com’ero, la paragonavo a una Madonna. Mi ricordo anche che quando lei e la signora Eugenia andavano incontro a Moser, io e Marcella correvamo innanzi; e se qualcuno ci domandava chi era lei, non sapevamo cosa rispondere: rispondevamo: — Un signore tanto bravo.... — quando ci dava dei dolci!

Avrebbe forse detto di più se il solito Pieruccio non fosse sopravvenuto col solito cannocchiale. Guardassi di là alla fabbrica Moser: si scorgevano gli operai. Io scorsi invece l’espressione di malcontento con cui Roveni, restituendo a sua volta il cannocchiale, scosse il capo.

Quasi a un presentimento istantaneo di un lontano soffrire, mi tornò a mente il giudizio che la mattina l’ingegnere mi aveva dato di Moser; e non badai più affatto alla Melvi. Mi distolsi da Anna per interrogar Roveni senza essere udito.

— Ingegnere — gli chiesi — , lei è malcontento della fabbrica? Eorse Moser per attendere a troppe cose non se ne cura abbastanza?

Albertazzi. In faccia al destino. 7