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— Non ci andrò più con Anna; — disse d’impeto, per togliermi subito il rammarico. — Glielo prometto!
Poi, riflettendo alle ragioni della promessa, ripetè:
— Ha ragione. Non ci andrò più!
La Melvi, ci avesse o no uditi, venne a noi e pregò Ortensia di lasciarla sola meco.
— Debbo parlare al dottor Sivori.
Fu allora, per quel solo tratto, che Ortensia si accompagnò a Roveni; e nel mentre discorrevamo io e la Melvi, li guardavo; e respingevo ancora l’idea che l’ingegnere e Ortensia fossero adatti ad amarsi, sebbene a vederli sparisse ogni ripugnanza di persona e di età.
Anna diceva:
— Lei, signor dottore, mi giudica troppo male; lei dà troppo peso a cose innocenti.
— Eorse.
— Non me ne rincresce per me: mie ne rincresce per lei.
— Per me?
— Un uomo come lei preoccuparsi delle nostre ragazzate! Eppoi, io e lei dovremmo essere amici; e non so perchè siamo nemici.
— Perchè dovremmo essere amici?
La mia domanda fu così pacata, mi dimostrò così indifferente, che vidi Anna abbandonare la risposta che le correva alle labbra. Ebbene: se adesso non mi meraviglio che al mattino io non avvertissi in Roveni la sagacia di sospendere e nascondere un pensiero improvviso, mi meraviglio che avvertendo una dissimulazione in Anna, non cercassi di scoprirla. Non solo! Io non attesi affatto alle parole che ella sostituì al primo pensiero.