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....Come entrammo nelle grotte, avanzarono per primi Ortensia, Marcella e Guido; seguimmo io e Pieruccio e gli altri due. Roveni, senza opposizione, reggeva la candela rifiutata da Pieruccio.

Intanto il cane si precipitava fin dove giungeva l’ultimo riverbero e s’arrestava abbaiando alle tenebre; poi facendo l’occhio all’oscurità, o scorgendo altro barlume, procedeva ancora e si perdeva, e impaurito a non udir le nostre voci o a udirle lontane, latrava e guaiva, finchè riusciva a trovarci, per riprendere quel nuovo sollazzo subito dopo. Acute strida seguivano a fremiti veri o imimaginari di pipistrelli. E veramente ogni volta che si rinnovava l’oscurità, perchè o aria o ala di pipistrello od altro spegnesse la candela, la tenebra gravava su di noi; il freddo umido penetrava le ossa e l’attesa della nuova luce pareva eterna a chi frattanto non facesse qualche cosa.

Che facesse Anna non sapevo; ma insospettito, quando la candela fu riaccesa la quarta o quinta volta, mi ritrassi da parte per lasciar l’adito a lei e Roveni; e sorpresi Anna nell’atto di soffiare alla fiammella.

Finalmente usciti di là e superata l’ultima costa, tornammo nel prato, a far la colazione che un servo aveva predisposta.

Di lassù spaziava la vista della valle, ove le case apparivano frequenti come un gregge bianco in parte diffuso e in altre parti raccolto: verdi di boschi erano i monti prossimi, e tra il verde, or cupo or diverso per mezzi toni o sfumature ai riflessi di luce, casupole e ville; giù, candido il fiume, e i monti anteriori eran brulli e scuri, e azzurrine o già nebulose le estreme vette.