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....Quando arrivammo a Rivalta, il villaggio dei tagliapietra, a più che due terzi del cammino, era già tardi, e noi assetati e affamati. Or mentre io guardavo ai tagliapietre e agli scalpellini che quadravano e appianavano i massi — e schegge e lapilli balzavano diffusi ai colpi dei martelli, e i birocciai davano voce ai muli, e rintronavano da lungi le mine — le ragazze avvertirono, entro una porta, un magnifico cesto di pere, e si misero a mangiarne ingorde, invitando noi a pagarne il prezzo.

Allora, nel veder mordere i grossi frutti dalle polpe succose, come io invidiai la gioia di vivere!

Non bastavano quelle belle frutta a dimostrare la provvidenziale disposizione della natura alla gioia umana? Non erano destinate a gioie umane quelle labbra rosse, che sui pericarpi color d’oro secondavano il taglio avido dei denti?

E mi volsi a cominciar solo la salita dell’ardua costa montana.

Da un lato s’ergeva la costa a perpendioolo, tutta di massi grigli e neri sovrapposti come per un gigantesco assalto alla vetta; dall’altro lato precipitava la rovina sino al fiume, sul greto del quale il sole batteva irradiato dalla scarsa corrente.

Io non guardavo là dove il sole splendeva: a un passo più scosceso una nera croce di legno ammoniva che di là un viandante era precipitato e morto. Morire così!

Ma mi raggiunsero i giovani; mi raggiunse la vita, e sempre più incresciosa. Anche ora risento di quell’uggia; e non riferirei più oltre di quella gita se non fossero state gravi le conseguenze che ebbe.