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— Ma io e Roveni ci arrivammo, alla vetta!
— Non è vero! — gridò Guido. — Vi nascondeste nella nebbia, vicino alla capanna, per paura di perdervi.
— Ci arrivammo!
— Storie!
Roveni taceva quasi non valesse la pena di sostenere la verità di così piccola impresa.
— Oh che notte, là dentro! Che notte! — ripeteva Marcella. Raccontava Ortensia:
— Immagini che fummo costretti a gettarci nella paglia per riposare un poco. Che freddo!... Io e la signora Fulgosi avevamo uno scialle in due! Bene: stavamo tutti zitti, e il cavaliere sospirò e si lamentò che non ci fosse nemmeno un po’ di tè. Allora chi si mise a sospirare perchè non aveva la cuffia da notte; chi brontolava perchè non aveva le pantofole; chi voleva l’acqua di Vichy. Anna piangeva perchè non le portavano due guanciali!
Ma Anna sogguardando a Roveni come per un richiamo a un loro particolare ricordo:
— Nemmeno l’ingegnere chiuse occhio in tutta notte.
L’ingegner Roveni sorrise appena e disse: — Lei non dovrebbe saperlo se io chiusi o non chiusi gli occhi. Eravamo al buio.
Ortensia sola rideva ingenuamente e con più vivacità di ogni altro, perchè aveva più viva degli altri nella memoria la rappresentazione del fatto e la comicità delle persone. Però quella sua giocondità, alla quale io non partecipavo, e quelle rimembranze estranee alla mia memoria aumentavano il mio turbamento. Avevo nell’anima il crollo di una grande speranza. Ora, come