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ombreggiata da noci e da querce, finchè si arriva all’aspra montagna che la via mulattiera assale fra i castagni frondosi e bistorti.
L’ingegnere s’accompiagnò subito a me, ed Anna, chiassosa fin nella veste rossa, fu costretta a correre innanzi con Ortensia e con Pieruccio, la vittima, schiamazziando. Dietro andavano Guido e Marcella nella lor piena felicità. Roveni, fatti pochi passi, respirò ampiamente come chi si solleva dalle spalle un peso enorme e come dicesse: «il mondo è mio», disse:
— Questa giornata di svago mi voleva e me la prendo! Moser è rimasto lui alla fabbrica, oggi; ma senza bisogno: ho predisposto tutto io stanotte.
Era la prima volta che discorrevamo insieme liberamente noi due soli, e colsi l’occasione per dirgli:
— Moser prevede che lei, che gli è così utile, lo abbandonerà.
Senza guardarmi l’ingegnere mormorò:
— Vedremo.
— ....Però le dà ragione. Lei può pretendere migliore impiego.
— Davvero? Moser non me ne vorrà male, se mi converrà lasciarlo?
Era grato anche a me, che l’accertavo di no.
Io pensavo intanto: «Ecco un uomo! Abbastanza di sentimento; ma finchè non gliene venga danno». Pensai pure: «Se Ortensia avesse qualche anno di più....» Ma guardando il giovane respinsi subito quel pensiero. «Una moglie a costui sarebbe d’impaccio. Per andar lontano, vuol essere libero. Costui è un uomo!»
Egli proseguiva: