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prenderla e a gustarla studio e riflessione, essa preferiva la pittura e la musica.
Con Ortensia non si facevan molti passi, non si stava un po’ fuor di casa, senza udirla ripetere: — Guardi! che bellezza! Stupendo, è vero? — E mi chiamava spesso a voce alta: — Sivori! venga a vedere! corra!
Se non che per godere del tutto la libertà delle sue giornate. Ortensia non avrebbe dovuto aver nulla da fare in casa. E, pur troppo, la vecchia cameriera veniva in cerca di lei con gravi incombenze di Marcella o della madre.
Uf! che pazienza! Di solito scappava in casa di corsa per trarsi d’impaccio al più presto possibile; ma talvolta rispondeva:
— Sì, sì, ho capito! Subito! Vengo subito! — e allora a rivederci, Marcella; o arrivederci, mamma!
Quando poi non poteva esimersi dal cucir qualche cosa, o dal rammendare il bucato, si addossava in un giorno il lavoro di una settimana. In quel giorno di clausura che manteneva con fermezza eroica, io la vedevo di giù, dal giardino, seder presso una finestra, contro al fondo scuro della camera.
A’ capo un po’ chino, con movimento ritmico, alzava il braccio e tendeva il filo a ogni punto: ne scorgevo ad ogni volta la mano bianca; e come di tratto in tratto elevava il capo a guardar fuori, al cielo, i suoi occhi mi parevano più luminosi e profondi.
Ma ottenere di cotesti miracoli era impossibile per imposizione.
Aveva la ribellione nel sangue; al punto che si ribellava anche a Sivori.