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di sè e degli altri; impaziente.... Concedevo tutto questo. Ma Eugenia notava: — Quando Ortensia ha detto no, è no! Per fortuna — aggiungeva — , a saperla prendere è facile prevenire il no e ottenere il sì.
Dunque Ortensia aveva forza d’animo. Me lo confermavano alcuni ricordi.
Anni innanzi, quando era sui dodici anni, Ortensia s’impauriva ancora ad andar sola, di sera, nell’oscurità. Una sera il padre la derise, per questo, più del solito. Improvvisamente lei s’alzò da tavola; traversò tutta la casa al buio; e tornò pallida, ma vittoriosa.
E da bambina respingeva ogni tentazione di dolci e di frutta che le venivan offerti a patto di rivelare chi delle sue compagne di scuola avesse commesso qualche marachella. Golosa, mangiava quelle buone cose con gli occhi, ma non c’era modo di farla parlare. Ed ora perchè sembrava più ardita e più consapevole di sè, quando, sul serio o per gioco, esclamava d’impeto: — Voglio?
Allorché tan’anima si raccoglierebbe nell’amore o nel dolore, che forza di volontà avrebbe al suo soffrire! Era figlia di Claudio Moser, il quale tutto doveva a una volontà ferrea. Come pure aveva del padre la focosa cordialità, che manifestava spesso puerilmente.
— Tesoro! — quanti erre nell’esclamazione, mentre quasi soffocava il gatto con le carezze. Io le dicevo:
— Una volta o l’altra ti graffia. Sei troppo fidente: credi buoni sino i gatti!
— Ma non vede com’è bello?
E il vitellino alla cascina? Era un lattonzolo