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Ma io che difendevo Ortensia io che la conoscevo meglio di tutti, scorgevo meglio di tutti ì pericoli dell’indole sua. «Cervellina» la diceva la madre; nè la queta e mansueta Marcella, che troppe volte doveva attender da sola alle faccende domestiche, aveva tutti i torti a lamentar frequenti strappi ai diritti della primogenitura e a chiamarla svogliata. E le altre?
La signora Redegonda — la madre di Guido — chiudeva un occhio, ridendo senza volere, allorchè giudicava Ortensia. — Buona sì; ma non le piaceva star in cucina; non una donnina da casa come Marcella.
E la Fulgosi s’eccitava e agitava a vantar l’educazione inglese, che concede molta libertà alle ragazze, e biasimava Ortensia appunto perchè godendo tanta libertà non era seria come le ragazze inglesi.
Peggio poi la vecchia Melvi. Diceva che Ortensia era «una farfalla, leggera leggera». Lei, la madre di Anna, diceva così, in tono di rimprovero! E pensare che sua figlia, anche quando scherzava chiassosa e pareva abbandonata alla più innocente gaiezza, non diceva parola, non faceva atto che non ubbidisse a un’intenzione o a un’abitudine acquistata per intenzione! Ma Anna non era riprovevole perchè era falsa.
Ortensia invece era spontanea in tutto; schietta e franca anche nei difetti: presto o tardi n’avrebbe danno; l’ammettevo io pure. A diciassette anni, era ancor troppo mutevole e impietuosa: non potevo negarlo. Troppo la sua volontà cedeva alle facoltà spirituali, che nè gli ammonimenti materni nè il nativo buon senso bastavano a disciplinare; era irriflessiva spesso; troppo fiduciosa