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VII.


Ero salvo.

Per quanto attento a me stesso io non comprendevo che vagamente quel che era accaduto dentro di me; e, non volendo ammettare d’essere lipemaniaco, la tentazione o l’allucinazione del delitto, che nei lipemaniaci è frequente, mi aveva lasciato uno stupore enorme e un orrore profondo. Tosto però ebbi l’impressione che finalmente mi si fosse disgelato il cuore; un’onda, quale di passione a lungo contenuta, irrompendo infrenabile, aveva sollevato dal petto il peso che mi soffocava; il rimorso m’aveva ridestata del tutto la coscienza.

Tornerei lieto di speranza? Smetterei per sempre quel sarcasmo che mi avvelenava le parole?

Non potevo ancor chiedermi questo. Neanche avvertivo che un indizio che il mio pensiero restava non poco torbido era nel bisogno di tornar a considerare i passi della mia vita dolorosa e di misurare gli sforzi sostenuti.

Che giorni! e a che prezzo avevo ricuperato la facoltà di sentire!

Sì: ora soffrivo; non rivedevo più Ortensia senza patire, patire veramente, un vero rimorso; desideravo che ella mi dicesse a parole o a sguardi che mi credeva buono. Non più per infingimento, ma per moto sincero dell’animo, cercavo ora di mostrarmi diverso.... E cercai anche di mitigare le antipatie che mi avrebbero reso insopportabile.