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ne e considerazione di piccole cose; invano avevo giocato con Mino e avevo voluto abbattermi nella puerilità.

Io era un uomo che una vendetta orrenda aveva gettato a vivere in un abisso e che di laggiù, dalla profondità tenebrosa, per rincrudimento alla condanna, riceveva fuggevoli barlumi.... Peggio! Peggio! Io era un naufrago alla cui speranza era rimasto, in mezzo alle onde, il solo appiglio di fuscelli!

«Anche un delitto....» E perchè no? Forse mi bisognava ricorrere al male, a un male più grande, per uscire da quello stato in cui mi trovavo; ricorrere a qualunque mezzo.... Io dovevo procurarmi forse un rimorso per mezzo d’una colpa a cui non potesse sfuggir più la mia coscienza.

Eugenia risollevò le palpebre. Sorrideva; mi sorrise.

— Vedete che la mamma ride? Vedete? — disse Ortensia beandosi nelle carezze che faceva a sua madre.

Io fissai Ortensia: bionda; rosea in viso; bella; con gli occhi luminosi; con un sorriso che aveva e dava luce. Che bella figliola!

Quale disgrazia se l’ala della morte toccasse d’improvviso quel fiore! se quella giovinezza cadesse atterrata; fatte smorte quelle guance; chiusi quegli occhi; fermo e freddo quel cuore: divenuta, a vederla in volto, quale il ragazzo che, da studente, avevo visto spolpare nella sala anatomica....

Ecco: c’era lì dinanzi a me una madre la cui esistenza era stata trattenuta per un filo, mesi e mesi, all’esistenza de’ suoi...., con tante cure! con tante ansie! con una vicenda crudele