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violento il rilievo agli zigomi e alle mandibole. E le mani..., così bianche! così affilate!...

— Ah Sivori! — ella mormorò con un pallido sorriso, quasi mi dicesse: «Come sono contenta».

— Zitta! — impose Moser. — Zitte anche voi! — disse alle ragazze, che non fiatavano e guardavano ora alla madre ora al medico.

Ma questi, ristato un po’ in attenzione dinanzi ad Eugenia si mostrò del tutto tranquillo per lei e pago di sè.

Io pensavo che avrebbe dovuto consigliarla a chiudere gli occhi, a riposare, forse anche a dormire, piuttosto che permetterle di guardare, ascoltare, accogliere di urto, subito, la vita che le ferveva intorno. Invece egli disse solo:

— Si ricordi, signora, che appena si sentirà stanca dovrà dirlo; e l’ingegnere e il dottor Sivori la porteranno in casa. Mi raccomando!

Dopo la quale raccomandazione e poche altre parole, prese commiato.

— Come ti senti? — chiedeva Moser indi a poco.

— Bene, tanto bene!

Per lasciarla tranquilla, Claudio si mise ad andar su e giù lungo il viale, al margine dell’erba, fermandosi a quando a quando a riguardare. Marcella, tacita, sedette sul sedile di macigno, pnesso alla madre e ripigliò il crochet; e Ortensia di su un più basso sedile di pietra, dall’altro lato, poggiava il mento su uno dei bracciali della poltrona!; e non potendo tacere, susurrava puerili è dolci espressioni d’affetto: — Mamma buona....; naamma bella.... — Io, in piedi, ero col dorso appogiato a un tronco. Ora con interpretazione perspicace, sicura, seguivo in Eugenia