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l’uscio. Il cavalier Fulgosi veniva a portare i suoi omaggi, le sue congratulazioni, i suoi auguri alla «cara signora Eugenia».

— Come va, cara signora?

— Sono molto debole....

— Sfido! È stata una gran batosta! Ma adesso ne siamo fuori.... A la bonne heure!

Ripigliò:

— Eh, io lo dicevo anche con mia moglie: la nostra signora Eugenia è più forte di quel che sembra. Vedrete che se la cava; vedrete! Poi è bene affidata. Un gran bravo dottorino, quel Minguzzi!; lo dicevo ieri col sindaco: un giovane studioso, tranquillo, in questi tempi che tutti i medici fanno i socialisti e dovrebbero piuttosto essere moderati. La scienza, è vero, dottor Sivori?, deve procedere adagio. Festina lente. Soprattutto la medicina. A lei, che più che un medico è un filosofo, posso confessarlo: nella medicina io ci credo poco. Medice, cura te ipsum! E per me, di medicine non ne prendo mai.... Un po’ di cremor tartaro, alle volte. S’intende però che nei casi serii, come il suo, signora Eugenia, bisognava aiutare la natura con tutti gli sforzi della scienza. Basta: ora ringraziamo il Cielo e stiamo allegri. Hurrà! Domani a desinare in casa Fulgosi si leveranno i calici alla salute della signora Moser, e mai toast sarà stato più cordiale.

— Grazie — ripeteva Eugenia, — grazie, cavaliere!

— E lei, dottore, benone? Si vede.

— Benone — io feci.

— Già l’ingegner Moser esagera a dire che il troppo studio ammazza. Eh! quando si è sani le

Albertazzi. In faccia al destino. 4