Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/47


— 45 —


Questo consigliava un uomo che aveva goduto il mondo con tumultuosa natura e ferrea fibra; che aveva negato Dio e proclamata la sovrana libertà della mente umana....

Oh! ma se tutte le gioie dell’amore, tutte le lusinghe dell’arte e del sapere, tutte le ebbrezze della gloria, tutte le frenesie di tutte le passioni, valgono in realità meno che le favole della nostra fantasia, e lo scopo della vita è l’illusione, l’inganno, l’oblìo della vita, a che vivere?

.... Appunto in quei giorni, ad accrescere la mia pena, un’anima semplice e umile presso a me benediceva la vita.

Per Eugenia era imminente il «gran giorno».

La sera prima di quello Ortensia mi chiamò.

— Venga con me!

— Dove?

— Dove? Dove? Venga con me: lo saprà. Avrà una bella improvvisata.

Mi fece andar da sua madre. La convalescente era ancora alzata nella poltrona, presso l’ampia finestra, e avevan spenta la lampada, poichè la luna, quasi piena a mezzo il cielo, bastava.

Eugenia sembrava una imagine di cera in un velo di luce bianca.

— Alzata? — io dissi entrando. — Non vi affaticherete troppo?

— Mi sento così bene — rispose. — Guardate che sera!...

— Una delizia! un incanto! Par di sognare — esclamò Ortensia, entusiasta. — Io stasera sono felice.

Felice, venne ad appoggiare la sua guancia a quella della madre, come soleva.

— E Marcella? — chiese poscia la madre.