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abbiamo tanto giudizio? — conchiudeva Guido ingenuamente — Marcella io non la vedo che la sera....
— Di sera in casa....; di giorno alla finestra.
— Ahi! — Con una comica smorfia, che gli era abituale, egli significò il dispiacere d’essere stato scoperto.
Tuttavia, stando così le cose, io non avevo più nè diritti nè obblighi d’intromettermi. E Guido, in attesa della felicità, era felice. Laureatosi, eserciterebbe la professione per conservare il patrimonio; e ora studiava solo per superare gli esami. La ricchezza del padre; la fortuna di Moser; il carattere e le abitudini dì sua madre; l’arrendevolezza di Eugenia, tutto era predisposto alla felicità di lui, tutto il mondo per lui. Che beatitudine!
Ma di nuovo che amarezza in me! O forse la contentezza altrui mi suscitava finalmente odio? Per fortuna non potevo odiar Mino, che mi assaliva con richieste di nuove favole. E Ortensia l’assecondava; come indovinasse che il proposito di adattarmi a loro mi farebbe bene.
Di su le ginocchia della sorella il fanciullo mi ascoltava ad occhi spalancati; entrambi mi ricompensavano di risate trionfali se attraverso i semplici intrichi portavo in salvo il debole dal forte, il topolino dal gatto, la pecora dal lupo, il bambino dall’orco.
Ma allorchè i miei ascoltatori ridevano più di cuore, io ricordavo Diderot:
«Amici! raccontiamo storielle! Finchè si dicon racconti non si pensa a nulla; il tempo passa e si compie la favola della vita senza accorgersene.»