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perare la facoltà di sentire. N’era prova l’amarezza suscitata in me dallo spettacolo della giovinezza e della gioia.

Però la ragione mi diceva che la salvezza sarebbe nel dimenticar me stesso; e per dimenticarmi era necessario accrescere l’esercizio della volontà.

Come? Non in cose grandi o in cose gravi poteva più esercitarsi la volontà di un uomo annichilito. Mi ripetei che bisognava mi limitassi a piccoli desiderii, piccoli affetti, piccoli doveri.

Sì, anche doveri. L’amicizia me ne imponeva uno che cercai presentare alla mia coscienza come impellente. Guido e Marcella facevano all’amore e Claudio non ne sapeva nulla. Ed Eugenia sapeva, ma taceva e annuiva? Impossibile! Bugie; imbroglio! I due giovani avevano fiducia in me, ma io non dovevo prestarmi a ciò che un giorno mi costasse rimproveri; non dovevo tradir l’amicizia. Urgeva parlar a Guido, subito.

Gli parlai infatti, appena lo vidi.

Egli mi disse che sua madre voleva un gran bene a Marcella, perchè era una ragazza senza capricci; e ne aveva discorso lei stessa, alla signora Eugenia, delle intenzioni del figliolo.

— E Eugenia?

— Interrogò subito Marcella. — Sì che gli voglio bene, a Guido — (il ragazzone contraffaceva, nella voce, anche l’innamorata). — Allora la signora chiamò mei e mi fece una predica....

— Una predica? Eugenia?

— Un discorsetto: che senza il consenso di Moser non poteva permettermi d’essere assiduo; che, d’altra parte, finché non fossi laureato, l’ingegnere s’opporrebbe.... Capisce, lei, adesso, perchè