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in cui egli stesso aveva sempre cercato, d’involgersi. Qualcuno o qualche cosa al di fuori della volontà sua mi pareva dover averlo spinto a tale abiezione.

Il destino? Forse il destino si era valso di Roveni quasi di uno strumento cieco? Sì: forse era stato necessario che quell’uomo attraversasse il nostro cammino e si comportasse in tali modi perchè io, dopo uno stato d’infelicità morbosa e con l’amore, l’errore, il rimorso, riuscissi a concepire altrimenti la vita; perchè Ortensia, dopo tanti patimenti ed affanni e con l’energia del suo animo, fosse risollevata a quella fede nella vita ch’ella sola aveva saputo ridarmi.

Ma se così era, oh io potevo finalmente guardare al destino senza più trepidare! Chiaramente ora vi leggevo il perchè della umana necessità del soffrire: per l’elevazione dello spirito umano. La nobiltà, la redenzione del dolore, ecco quel che cominciavo a leggere in faccia al Destino!


XV.


E perchè la vecchia Rita faceva bagnar dalla guazza e imbiancar dal sole la tela più fina ch’essa tessè al tempo delle sue materne speranze? Un corredo di tovaglie e tovaglioli era forse il dono che destinava alle mie nozze. — E perchè il Biondo si era dato a rilevar di scalpello sul legno, lavorando zitto e cheto e accarezzando l’opera con sguardo d’artista, di dietro gli occhiali e di sotto le cateratte? Non componeva una delle solite casserelle: forse una culla?...

Solo affliggeva il povero Biondo il prossimo obbligo d’indossare, per la prima volta in vita sua, un vestito pienamente nero. — Il sarto, che glielo faceva,