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parco nelle parole, immobile, attento. Aveva risposte pronte. L’antipatia che mi separava da tutti gli estranei non poteva resistere contro di lui; anzi dal primo giorno che l’avevo visto non mi era spiaciuto quel giovane dalla fisionomia decisa: non bella per il naso breve un po’ all’insù, ma abbellita da due folti baffi biondi; e dalla persona robusta e a mosse un po’ dure, quasi di macchina non ben levigata e non in piena attività, eppure in un perfetto equilibrio di tutte le forze alla regola dell’arbitrio. Per una inesplicabile contraddizione non mi spiaceva quell’uomo, ambizioso, si vedeva, fin dal modo di camminare.

Passandomi accanto egli mi salutò con un franco:

— Buona sera, dottor Sivori!

— e andò difilato a prender Anna Melvi per ballare il waltzer.

Io mi riaccostai agli uomini seri.

— Che fibra! — disse Claudio, che ora parlava di Roveni. — Tutto il giorno lavora per me e la notte studia per sè.

Aggiunse che Roveni s’occupava con passione in studi d’elettricità.

Quindi disse:

— Io penso con dolore al giorno che dovrà abbandonarmi.

Una risposta mi venne al pensiero e alle labbra: — «Hai un mezzo molto semplice per trattenerlo: dagli in moglie una delle tue figliole».

Ma sarebbe stato come dire a uno che possegga un tesoro: — dallo al tale — , o almeno sarebbe stato come proporre un sacrificio intempestivo; perchè nel sereno egoismo del suo amor famigliare, Moser non s’era ancora accorto che